Pagare le news su Internet, alla stessa stregua di come si scaricano legalmente le canzoni? Il tema è stuzzicante ancorché particolarmente complesso e di strettissima attualità per quanto riguarda il discorso delle news. L'uscita dei giorni scorsi di James Murdoch, presidente e amministratore delegato di News Corp. per l'Europa e l'Asia nonché rampollo del più famoso papà Rupert, è lo specchio di una delicata questione.
"È giusto far pagare un prezzo equo per le notizie on line - ha detto il figlio del magnate australiano - altrimenti sarà penalizzata la qualità. Il consolidato modello di offrire "free" l'informazione in Rete sarà anche superato ma c'è chi, fra gli analisti di settore, che osserva come il successo del sistema delle notizie a pagamento su Internet si possa concretizzare solo nel caso in cui l'intero mondo del Web faccia "cartello". Senza un accordo definito a tavolino fra i fornitori di contenuti è pressoché scontato, secondo questa visione del fenomeno, che gli utenti continueranno a cercare on line – e soprattutto a trovarle senza problemi – le notizie desiderate. Immaginiamo di dover pagare 10 centesimi di euro una singola notizia su uno dei principali quotidiani italiani on line e tale riflessione ci apparirà probabilmente assai condivisibile.
Il fenomeno della musica gratis ha vissuto la sua epopea negli anni 2000 con Napster e il "peer to peer" ma non è certo tramontato e basti pensare alle migliaia di file musicali scaricati illegalmente archiviati sul computer di un teenager per capirne il perché. Oggi i problemi della major sono soprattutto quelli di far quadrare i propri conti in un contesto in cui i consumi di Mp3 crescono ma non abbastanza per coprire i buchi di ricavi legati al crollo delle vendite di Cd. Un po' come succede, facendo forse un azzardato parallelismo, con le notizie e le case editrici: la frenata sostanziale del gettito pubblicitario nella carta stampata è solo minimamente compensata dai maggiori introiti legati all'advertising on line. Quindi c'è un problema di sistema alla base che va risolto e se Murdoch ha rotto gli indugi confermando di voler perseguire la strada del "pay per view", il settore della musica si interroga se sia necessario intraprendere quanto suggerito da una recente ricerca della UK Music, il consorzio che riunisce buona parte dell'industria discografica inglese. E cioè quello di proporre tariffe fisse per scaricare i brani dalla Rete: rendere più economicamente accessibile la musica al pubblico giovanile, offrendo a 10/15 euro mensili la possibilità di scaricare in modo illimitato - per un determinato periodo di tempo - i brani desiderati ovvierebbe al fenomeno alquanto diffuso fra i ragazzi di età compresa fra i 14 e i 24 anni di copiare i Cd degli amici o di scaricare canzoni con i sistemi di file sharing illegali ancora attivi.
Se, in altre parole, le canzoni fossero disponibili on line a prezzi e condizioni eque le cose potrebbero cambiare anche sostanzialmente e fenomeni come il "ripping" – la tecnica che permette di convertire spezzoni di video musicali scaricabili da YouTube in veri e propri file musicali – tenderebbero probabilmente a ridursi. Difficile, anzi impossibile, che il file sharing illegale o la violazione consapevole del copyright possa invece scomparire del tutto pur in presenza di un servizio di download a pagamento, come il Come With Music di Nokia, che permetta di scaricare in modo illimitato sul proprio pc o sul proprio cellulare i titoli preferiti pescandoli da un catalogo di milioni di brani. Ma se è vero che l'85% dei teenager si dice disposta a considerare un sistema di questo tipo sarebbe già un grande passo in avanti, soprattutto se coloro dediti al download di musica dalla Rete continuassero a comprare Cd in negozio.
Fonte
|