Farà sicuramente molto discutere una recente sentenza emessa negli Stati Uniti. Un giudice federale di New York, Gary R. Brown, ha stabilito che un indirizzo IP non può essere considerato una prova sufficiente per identificare in maniera univoca un utente accusato di scaricare da Internet materiale protetto da diritto d’autore. Secondo il giudice, infatti, un indirizzo IP assegnato da un provider consente di individuare il luogo in cui si trovano dei dispositivi connessi alla Rete, ma non di determinare con precisione chi ha prelevato illegalmente dalla Rete un contenuto protetto. Succede infatti che in molte situazioni l’IP va ad identificare un router wireless o un altro dispositivo di rete e chi ha commesso la violazione potrebbe essere chiunque, ovvero il titolare dell’abbonamento, un suo familiare, un ospite, un vicino e persino un intruso. La sentenza è stata emessa nell’ambito di un processo intentato dai cosiddetti “troll del copyright”, studi legali che cercano di lucrare attraverso il contenzioso su questioni di diritto d’autore, contro migliaia di “downloaders” dalla Rete, tra cui numerosi anziani accusati di avere scaricato film dal contenuto pornografico. Il giudice ritiene che tali cause costituiscono un enorme spreco di risorse giuridiche. Pertanto chiede alle varie corti interessate in questo tipo di procedimenti di respingere le richieste degli avvocati delle troll del copyright. Se l’IP consente di risalire ad un singolo abbonato, bisogna considerare anche, ricorda il giudice, che nel 61% delle case americane è presente una connessione senza fili che potrebbe essere usata da più persone contemporaneamente o potrebbe non essere sufficientemente protetta da intrusioni. Per questo motivo l’indirizzo IP con consente di determinare automaticamente il colpevole di un illecito.
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