«Mamma mi stanno impiccando, mi portano alla forca, fate qualcosa, aiutatemi». Alle sei di mattina di venerdì, la madre e il padre di Delara ascoltano increduli la telefonata che li ha ridestati e trascinati nell’incubo. È l’ultima, estrema richiesta d’aiuto della loro bimba, ma loro stentano a crederci. Il 17 aprile l’ayatollah Mahmoud Hashemi Shahrudi, il capo del potere giudiziario di Teheran, ha regalato due mesi di speranza, due mesi per rivedere la condanna all’impiccagione. Non fanno in tempo a dirselo. L’urlo disperato di Delara riecheggia lontano. Al suo posto ora c’è la voce di un funzionario indifferente, incaricato di cancellare l’ultima estrema illusione. «La stiamo impiccando, non potete farci niente». Pochi minuti dopo Delara Darabi, la minorenne assassina, la pittrice ravveduta, penzola dalla forca, simboleggia l’irremovibile, irreversibile brutalità di un sistema impietoso. Quell’ultima telefonata concessale mentre il boia già annodava il cappio è lo scampolo più atroce, più osceno, della triste storia di Delara Darabi. Più disumano del gesto del figlio della sua vittima, dell’uomo arrivato sul patibolo per passarle il nodo al collo ed ottenere il risarcimento di sangue previsto dal codice islamico iraniano. Se il taglione è sacra legge della Repubblica Islamica, l’atroce telefonata dal patibolo suona come l’estrema tenue resipiscenza dei carnefici di fronte ad una sentenza che non doveva essere eseguita. Una sentenza portata a compimento contro la volontà del potere giudiziario ed eseguita senza l’obbligatorio preavviso di 48 ore all’avvocato della 22enne Delara Darabi.
Una piazza per Delara Darabi. Parte da Roma la proposta di intitolare alla ragazza-pittrice giustiziata il primo maggio in Iran, una piazza, una strada o un museo della Capitale. L’Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia lancia un appello urgente al sindaco Gianni Alemanno che aveva firmato la petizione di Amnesty International per salvare l'artista 23enne condannata a morte per un omicidio che avrebbe commesso nel 2003 quando era ancora minorenne. Nell'appello si chiede di «intitolare una piazza, una via oppure un museo a nome di Delara Darabi, impiccata all’alba del primo maggio nella città di Rasht in Iran settentrionale. Questo fatto deve essere considerato un atto fortissimo di protesta e di condanna contro l’esecuzione della giovane pittrice iraniana». Un gesto simbolico «per dimostrare il forte dolore del mondo civile - si legge ancora nell'appello - il mondo occidentale e in particolare la città di Roma, come culto della civiltà, deve dimostrare la sua vicinanza e solidarietà alla famiglia di Delara Darabi che, per amore del fidanzato, aveva rivendicata la responsabilità». MOBILITAZIONE - L'esecuzione di Delara Darabi ha scioccato il mondo. Delara è stata uccisa di mattina presto, di venerdì, giorno sacro per gli islamici senza che ne fosse data notizia al suo avvocato né alla sua famiglia. L'impiccagione era stata fissata inizialmente per il 20 aprile, ma dopo la mobilitazione nazionale e internazionale per salvare l'artista, il capo della magistratura di Teheran, l'ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, aveva firmato una sospensione «per un breve periodo di tempo» per dare modo alla famiglia della vittima di riflettere sulla richiesta di perdono avanzata dai genitori di Delara. Si pensava in un rinvio di due mesi, invece il boia ha atteso solamente dieci giorni. «Vogliamo esprimere le condoglianze della nostra comunità alla famiglia di Delara - scrive sul sito Davood Karimi, presidente dei Rifugiati politici iraniani in Italia - e a tutto il popolo iraniano che si era radunato attorno alla famiglia e aveva insistentemente chiesto ai parenti della donna uccisa dal fidanzato di Delara di perdonare la ragazza». A chi volesse aderire all'appello per intitolare una piazza o un museo a Delara «chiediamo di mandare un email al sindaco di Roma e mandarne una copia a Iran Democratico. ld.gabinetto@comune.roma.it e mandarne una copia a irandemocratico@yahoo.it
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