«Designed by Apple in California, assembled in China», progettato da Apple in California, assemblato in Cina: è scritto dietro ognuno dei quasi cinquanta milioni di iPod venduti nel mondo. E se la prima metà della frase evoca campus bianchi e aria condizionata, prati rasati e ragazzi divisi fra surf e computer, l’altra metà è più inquietante. O almeno, lo sarebbe secondo il Mail On Sunday, che ha pubblicato un reportage di alcune pagine sulle fabbriche dove viene prodotto il gadget tecnologico più famoso di questo inizio millennio.
Sotto il titolo «iPod City» si legge, tra l’altro, che una delle fabbriche si trova a Longhua, non lontano da Hong Kong, ed è di proprietà della taiwanese Foxconn. Vi lavorerebbero circa duecentomila persone, ossia quattro volte la popolazione dell’intera Cupertino, la cittadina californiana dove Apple ha il suo quartier generale. Nel racconto del Mail On Sunday, tuttavia, ad impressionare sono le condizioni dei lavoratori: prevalentemente donne (sono più oneste, a sentire i responsabili), percepiscono un salario di circa 40 euro al mese per un orario che raggiunge le quindici ore al giorno. La fabbrica dove vengono prodotti gli iPod nano si sviluppa su cinque piani ed è protetta da sorveglianti che controllano chiunque entri o esca, per impedire episodi di spionaggio industriale. Alla fine della giornata, intorno alle 23.30, gli operai si ritirano in dormitori che possono ospitare fino a cento persone.
«Dobbiamo lavorare troppo e io sono sempre stanco», racconta al giornale inglese un addetto alla produzione di iPod. «È come essere nell’esercito. Ci fanno stare in piedi per ore. Se ci muoviamo, siamo puniti e ci fanno stare in piedi ancora più a lungo. Se ci viene ordinato, dobbiamo lavorare oltre il nostro orario, e possiamo tornare ai dormitori solo col permesso del capo».
Leggermente migliore la situazione nella fabbrica di Suzhou, presso Shangai, dove si assemblano iPod Shuffle. Qui i dormitori sono all’esterno della struttura, la giornata lavorativa dura dodici ore e la paga è doppia, ma gli operai versano all’azienda la metà del salario per il vitto e l’alloggio. Tengono per sé il minimo indispensabile, e destinano il resto alla famiglia (tipicamente contadini rimasti nelle campagne a lottare con la miseria).
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