Entro il 2015 arriverà a 250.000 tonnellate la domanda mondiale delle cosiddette “terre rare”, un gruppo di elementi chimici che vengono utilizzati per la produzione di molti apparecchi elettronici (dai cellulari ai computer) e la costruzione dei più moderni impianti fotovoltaici ed eolici. Il problema è che, usando un gioco di parole, le terre rare rischiano di diventare sempre più rare. La Cina, infatti, principale fornitore al mondo di terre rare (la quota di produzione si aggira intorno al 97%), ridurrà nel 2011 del 11,4% l’esportazione rispetto a quanto fatto nel 2010, passando da 14.446 a 16.304 tonnellate. La vasta produzione cinese negli anni scorsi aveva fatto abbassare i prezzi delle terre rare a tal punto che molti impianti di altre nazioni erano stati costretti a chiudere. Nell’ultimo anno, invece, i prezzi sono aumentati anche di 10 volte. Il timore diffuso è che la Cina stia usando la propria produzione di questi elementi come arma politica, anche se taluni ritengono invece che è solo un modo per soddisfare in primis la domanda interna. Nel frattempo alcune nazioni si stanno organizzando per ovviare al problema: negli USA, ad esempio, si cominciano a riaprire le miniere, mentre il Giappone sta adottando una politica di recupero delle terre rare dai rifiuti tecnologici.
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