Quando ho scelto il titolo di questa tesi, sono stato mosso dal desiderio profondo di sapere chi fossero gli hackers. Fin dal 1995, quando in casa è entrato il primo pc collegato in Rete, ne avevo sentito parlare. Con ingenua superficialità, avevo anch'io rapidamente etichettato il fenomeno: esperti informatici che abusano delle loro capacità per commettere reati, motivati esclusivamente da un fine di lucro, dalla sola logica del denaro sottratto a chicchessia e fatto riapparire su anonimi conti correnti situati in chissà quali (molto reali e poco virtuali) paradisi fiscali. Col tempo ho capito che le cose non stavano affatto in questi termini. È stato sufficiente, per un attimo, distogliere l'attenzione da un certo tipo di informazione, quella sommaria, non verificata e, a volte, puramente sensazionalistica propagandata in merito dalle fonti ufficiali. Non c'è dubbio che oggi, all'elevata quantità di informazioni gestita dai mass media, fa spesso, paradossalmente, da contraltare un basso livello qualitativo delle stesse, diffuse in modo incontrollato e prive dei necessari riscontri. Ma, se da un lato non appare ipotizzabile un mondo in cui ciascuno possa avere un contatto diretto con ogni evento, dall'altro non vi è motivo di negare che dalla tesi (ormai pacificamente accolta in dottrina e in giurisprudenza) secondo la quale dall'art. 21 della Costituzione discende il diritto di informarsi e di informare, debba anche necessariamente discendere il dovere, per chi gestisce l'informazione, di rappresentare la realtà in modo obiettivo e privo di condizionamenti esterni. Così non è stato per gli hackers che, volutamente o meno, televisione, giornali, radio hanno rapidamente classificato come criminali informatici o "pirati informatici". Seppur non del tutto infondata, tale interpretazione si è radicata nel linguaggio comune investendo di una connotazione fortemente negativa una cultura che solo marginalmente può essere ritenuta responsabile dell'evolversi e del diffondersi della criminalità legata alle nuove tecnologie. È bastato, d'altra parte, rivolgersi a chi non ha creduto superficialmente alle prime cose che gli erano state dette o che aveva sentito dire, ma ha voluto davvero capire di cosa si stesse parlando. Così, per conoscere la storia di una fenomeno sociale, comprenderne i valori e le ragioni della sua forza, mi sono lasciato guidare da Levy, Sterling, Himanen e da tutti quegli autori che hanno costruito le loro opere e formulato le loro riflessioni documentando fatti ed eventi realmente accaduti.
Questo l'elenco dei capitoli dell'opera: - Per comprendere l'hacking: storia e valori di una cultura attuale
- Gli attacchi ai sistemi informatici
- L'approccio normativo alla criminalità informatica
- L'indagine empirica
Questo è uno stralcio dell'introduzione di una bellissima tesi dal titolo "Hacking e Criminalità Informatica" di Federico Tavassi La Greca, dell'Università di Firenze, che analizza il fenomeno da dentro, prima da un punto di vista sociale ricollegandone poi le conseguenze legislative e giudiziarie. Per gli amanti del genere merita ben più di una veloce lettura rimanendo comunque ben comprensibile anche il lettore meno informato.
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