IL VIDEO SU YOUTUBE - Il 25 febbraio scorso le immagini della bravata comparvero su YouTube e dal giorno successivo i militari rhodensi, in pieno raccordo con il preside ed il corpo docenti dell’istituto scolastico, hanno avviato le indagini per individuare i responsabili. «Un’attività non facile, soprattutto a causa dell’iniziale ritrosia degli studenti a collaborare, ma dopo alcune settimane di verifiche e interrogatori, in alcuni casi condotti con l’ausilio dal dirigente scolastico, siamo riusciti a chiarire dinamica e movente del brutto gesto» spiegano i carabinieri, aggiungendo che il fatto si è verificato il 29 febbraio 2008 all’interno della classe 2 D, «durante la pausa e una momentanea assenza dell’insegnante». I carabinieri della Stazione di Rho hanno individuato e denunciato alla Procura della Repubblica di Milano per vilipendio della religione di Stato e danneggiamento sette studenti rhodensi di 16 e 17 anni accusati di aver dato fuoco a un crocefisso e danneggiato gli arredi di un’aula dell’Itis «Cannizzaro» di Rho, in provincia di Milano. Le denunce sono state anticipate dai provvedimenti di sospensione adottati dal preside della scuola, «sanzioni che per molti dei protagonisti pregiudicheranno il superamento dell’anno scolastico». I GENITORI SDRAMMATIZZANO - Secondo quanto ricostruito dai militari, i sette ragazzi, tutti figli di cosiddette «famiglie perbene», avevano staccato il crocefisso dal muro e dopo aver spruzzato con un vaporizzatore del liquido infiammabile (probabilmente un profumo) avevano creato l’effetto fiammata, riprendendo il tutto con i telefonini. «In realtà, il crocefisso non veniva danneggiato, tanto che l’insegnante, al suo rientro, lo aveva trovato regolarmente appeso al muro, non notando nulla di strano» continuano gli investigatori, sottolineando che «a ciò si era poi aggiunto il danneggiamento di alcune sedie, peraltro già rotte e pronte per essere rottamate». I genitori sono stati pronti a sdrammatizzare e giustificare: «Rischiano il carcere, dobbiamo risarcire dei danni? No? E allora dov’è il problema?».
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