Alla fine l’ha spuntata Sony. Il giudice federale Richard Seeborg ha respinto la class action contro la rimozione della funzionalità che consentiva di installare Linux sulla PlayStation 3. Questa funzionalità era stata rimossa quando, nell'aprile del 2010, Sony ha rilasciato il firmware 3.21 per la console. La motivazione addotta dal colosso giapponese era “motivi di sicurezza”. La notizia aveva sollevato un mare di polemiche all’interno della community: molti utenti infatti sostenevano di avere tutto il diritto di continuare ad utilizzare una funzionalità che era stata inclusa nel prodotto al momento dell’acquisto. Ad un mese dal rilascio del firmware sono cominciate le azioni legali contro la casa giapponese. Sony ha infatti ricevuto la prima richiesta di comparire in tribunale e, in seguito, altri utenti della console hanno deciso di attivare una class action. L’azienda nipponica si è difesa negando ogni colpa, in quanto, come specificato nei termini di servizio del PSN e nell’accordi per la licenza di sistema della PS3, aveva ogni diritto di mettere mano al firmware e modificarlo. La vicenda giudiziaria si è conclusa a favore di Sony. Il giudice federale Richard Seeborg ha infatti respinto ogni accusa, puntualizzando peraltro che non ci sono elementi sufficienti per giudicare colpevole l’azienda giapponese. Va detto anche che la funzione che consente di installare un altro sistema operativo rimane disponibile fino a quando l’utente non decide di rimuoverla effettuando l’aggiornamento del firmware. Non aggiornando il software della console, questa è comunque utilizzabile per giocare o per usare le altre funzioni del sistema operativo (a parte l'accesso a PSN). Si potrebbe ulteriormente obiettare che i giochi più recenti non funzionano se non si aggiorna il firmware, ma Sony anche da quest'ultimo punto di vista è legalmente a posto. Infatti sulle confezioni dei nuovi videogame è riportato che è necessario installare un nuovo firmware per poter usare il gioco.
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