Dai risultati di una ricerca condotta dalla RIAA, l’associazione dei discografici americani, si scopre che
il 65% della musica archiviata nei player MP3 proviene da fonti illegali e solo il 35% dall’acquisto o dal download legale dei brani. Questi dati porterebbero a sostenere la lotta dell’industria discografica contro la pirateria informatica. Se non fosse che su Internet, questa volta, non è finita la musica illegale, ma proprio la ricerca classificata come “confidenziale” della RIAA che, tra le righe, ammette che
solo il 15% della musica “pirata” proviene dai canali del P2P.
Più che nel file sharing, dunque,
la vera causa dei problemi che affliggono il mercato musicale è da ricercare tutta nello scambio fisico dei brani musicali: se un tempo tra amici ci si prestava le musicassette, ai giorni nostri si preferisce scambiare chiavette USB e hard disk esterni. Lungi da noi, ovviamente, il voler prendere le parti del file sharing illegale: la violazione del diritto d’autore è un reato e come tale deve essere perseguito. Se ci è consentito, però, un consiglio alle major ci sentiamo di darlo: più che dipingere Internet come un covo di pirati, perché non si comincia a pensarla come un utile strumento di diffusione per musica e film?
Le piattaforme per lo streaming e il download legale di contenuti multimediali già esistono e tutte le energie spese finora nella lotta senza quartiere contro Megaupload&Co. potevano essere usate per migliorarle. A guadagnarci sarebbero le major stesse, che avrebbero un miglior controllo del mercato, e gli utenti finali, che potrebbero finalmente ascoltare e vedere film di qualità. È forse chiedere troppo?
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